🇷🇸🇧🇦 Repubblica Srpska in fibrillazione
In Serbia, la procura superiore di Užice e la procura speciale di Belgrado hanno avviato indagini penali a seguito di tre incidenti etnici ai danni di bosgnacchi (bosniaci musulmani) in soli dieci giorni a Priboj, città sud-occidentale al confine con Bosnia-Erzegovina e Montenegro. Il presidente Aleksandar Vučić ha lanciato un ultimatum ai violenti: «La Serbia è sia serba sia bosgnacca. Chiunque pensi di poter bruciare, uccidere, sparare e massacrare finirà in prigione».
Perché conta: Non è la prima volta che la convivenza interetnica nei Balcani occidentali è messa a dura prova. In questi giorni le insofferenze si manifestano in una località serba adiacente al suolo bosniaco. Le violenze mirano a colpire la minoranza bosgnacca e a esprimere sostegno alla causa indipendentista della Repubblica Srpska, vasta entità amministrativa (49% del territorio) della Bosnia-Erzegovina abitata in prevalenza da serbi. Le autorità di Belgrado si sono mostrate solerti nel sopprimere le aggressioni e ogni tentativo di intromissione popolare spontanea nelle faccende del paese vicino. Per almeno due ragioni di rilievo internazionale.
Primo, preservare la tregua raggiunta con Priština dopo la “guerra delle targhe” di ottobre al confine con il Kosovo. Un revanscismo serbo in Bosnia-Erzegovina potrebbe avere come sgradevole riflesso lo scoppio dello sciovinismo albanese contro le municipalità serbe a sud dei valichi di frontiera di Jarinje/Jarinjë e Brnjak/Bërnjakë. Situazione politica gravosa sia sul piano interno sia in campo internazionale.
Secondo, scongiurare mosse della (pur alleata) Russia nella regione, volte a fomentare secessionismi e panslavismo. Il timore di Vučić è che Putin ripaghi con la stessa identica moneta gli apparati occidentali, ritenuti alla regia della tentata “rivolta colorata” in Kazakistan. Il “metodo Belgrado” non è di certo esclusiva statunitense.
Una indotta instabilità nel cuore dei Balcani spingerebbe la Nato ad accantonare l’idea di un ulteriore allargamento. Nel caso estremo di nuovo conflitto bellico nella regione, le ristrutturate basi militari in Romania a pertinenza Usa/Nato sarebbero impegnate in un teatro di retroguardia (stabilizzazione dei Balcani), anziché nell’impegnativa arena d’avanguardia (scontro frontale con Mosca). Scenario non dei peggiori per la Russia, ma devastante per una Serbia in affanno economico, identitario, diplomatico e militare.