Interviste

Il Qatar sotto scacco. Intervista a Marco Giaconi Alonzi

Il centro studi Geopolitica.info ha intervistato il noto analista geopolitico Marco Giaconi Alonzi, già direttore di ricerca presso il Ce.Mi.S.S. – Centro Militare di Studi Strategici (1992), consigliere del Ministro della Difesa Antonio Martino (2000) e consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri (2003). Un occasione per far chiarezza sulla crisi qatariota e sugli accadimenti in Medio Oriente. Link

Per quale ragione Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto hanno interrotto i propri rapporti diplomatici con il Qatar?

Dopo la “NATO sunnita”, alla quale gli Usa hanno sconsideratamente dato il loro sostegno, magari dimenticandosi per un attimo che la loro maggiore base in Medio oriente e nel Golfo è proprio in Qatar, si respirano venti di guerra tra i sauditi, i loro alleati e l’Iran. E’ questa la sostanza strategica dei 13 punti che sono stati inviati a Doha da parte di sauditi, Egitto, Yemen, Emirati Arabi Uniti (che hanno hackerato un sito ufficiale del governo qatarino, facendo precipitare la crisi) Bahrein, perfino le Isole Mauritius. Doha deve immediatamente rompere secondo i sauditi, poi, ogni rapporto con l’Iran, insieme al quale gestisce la maggior riserva di gas sottomarino, deve inoltre chiudere la base militare turca sul suo territorio, poi ancora chiudere Al Jazeera, TV legata alla Fratellanza Musulmana (come del resto il regime turco dell’AKP) non finanziare più reti come “Arabi21”, “Arabi al jadid”, “Middle East Eye”, RASSD, tutti media non omogenei al messaggio wahabita; ma, ancora, Doha deve cessare di finanziare gruppi e individui identificati dai sauditi e dai loro alleati come “terroristi”, che sono peraltro, guarda caso, tutti e solo gruppi sciiti attivi nella penisola arabica e in Bahrein. Ecco, se il gas naturale, di cui il Qatar è il maggior produttore al mondo, non è gestibile dall’OPEC, e i sauditi e gli altri membri del cartello di Vienna sono in cerca di mercati per la loro sovrapproduzione, niente di meglio che distruggere il vicino, costruendogli l’immagine di sostenitore del “terrorismo” che, secondo Riyadh, sarebbe tutto di origine sciita e iraniana. E gli Usa, come al solito, la bevono.

Marco Giaconi
Marco Giaconi Alonzi

Perché l’Egitto si è schierato contro il Qatar?

Il Qatar ospita un esponente della Fratellanza Musulmana, dal 1981, un ospite egiziano che è lo shaykh più influente dell’Ikhwan, Yussuf Al Qaradawi. Poi, il Qatar sostiene Hamas, che è un settore militare della Fratellanza, e inoltre Hezbollah, che l’emiro al Thani di Doha ha sempre proposto, fin dal 2008, come l’asse su cui si può ristabilire la pace in Libano. Tutti nemici espliciti dell’Egitto. Il Cairo è stato, anzi, tra i più polemici, prima delle attuali 13 richieste a Doha, contro l’emirato. Non dimentichiamo nemmeno che Doha stava sostenendo il principe saudita Mohamed bin Nayef contro Mohamed bin Salman bin Abdul Aziz, che ha vinto la spietata lotta intrafamiliare a Riyadh. Anche la vendetta conta, in questi contesti.

In cosa consiste il blocco economico e politico contro Doha?

Blocco dei rifornimenti giornalieri da terra, naturalmente attraverso l’Arabia Saudita, che riguardano soprattutto cibo e materiali di prima necessità. Blocco o divieto di sbarco per le navi di Doha nei Paesi che aderiscono alla linea di Riyadh, richiamo degli ambasciatori, cessazione dei cambi monetari presso le banche, richiamo dei cittadini residenti nell’emirato di Doha, a qualunque titolo vi risiedano, blocco delle comunicazioni e delle reti internet che arrivano al Qatar. Blocco dei contratti in essere. In alternativa, la Turchia e l’Iran mandano cibo ed altri beni di prima necessità a Doha, mentre il parlamento turco vota in questi giorni per l’ampliamento della sua base militare nei pressi di Doha e l’Iran si gode il forte risultato politico di vedere la rottura del grande fronte sunnita.

La recente visita di Donald Trump in Arabia Saudita ha influito sull’attuazione di tali politiche?

Trump ha sostenuto il blocco contro il Qatar, mentre il segretario alla difesa Mattis ha immediatamente riassicurato Doha per quanto riguarda il sostegno degli Usa all’emirato. Rex Tillerson, segretario di Stato, ha richiesto a egiziani e sauditi di rendere le loro richieste contro Doha “ragionevoli ed agibili”. Una linea, a parte il più filo-saudita Trump, che ricorda il classico “good cop bad cop” della recente politica estera americana, anche negli anni di Obama. E comunque il Qatar aveva già raggiunto accordi segreti con alcuni attuali avversari per far cessare il proprio sostegno a gruppi jihadisti interni ad essi avversi.

Come possono reagire gli alleati qatarioti Iran e Yemen?

Lo Yemen reagirà, con ogni probabilità, addestrando e finanziando alcuni gruppi terroristici che opereranno a Doha: la rete di Al Qaeda nella Penisola Arabica è già pronta. Poi, ci sarà, ed è quasi sicuro, un attacco alle coste del Qatar, per depotenziare le comunicazioni con la Turchia e l’Iran. Teheran, appunto, manda cibo “fino a che ci sarà necessità”. Il Kuwait sta mediando, la Giordania sta solo riducendo i suoi rapporti con l’Emirato, ma non aderisce al blocco, Ankara invia, anch’essa, cibo e materiali di prima necessità. Se continua così, i sauditi arriveranno a compiere il capolavoro strategico di mettere in comunicazione un Paese della NATO, la Turchia, seconda potenza militare dell’Alleanza, con la repubblica sciita dell’Iran.

Qual è la posizione di Ankara? Quali sono gli interessi della Turchia nel Golfo?

Ankara, dicevamo. Gli investimenti esteri diretti del Qatar in Turchia valgono oggi 1,5 miliardi di Usd, mentre quelli sauditi ne valgono due. La Turchia, in ogni caso, deve stare in buoni rapporti sia con la NATO “sunnita” che con il Qatar, che è peraltro anch’esso sunnita. La base militare turca, poi, che ospita 5000 uomini, è pensata da Ankara, fin dal 2014, come “progetto simbolico” ma anche come proiezione di potenza in un’area che, per i turchi, è sempre più importante. Certamente Ankara non abbandonerà questa sua base. Che non è contro i sauditi, dicono fonti turche, e certamente nemmeno contro il Qatar. Peraltro, il regime di Erdogan vede l’emirato come un asset strategico fondamentale, dato il recente isolamento di Ankara nel Mediterraneo e il suo complesso gioco in Siria.

L’export di gas qatariota è a rischio?

Sì. Il porto di Ras Laffan, costruito in gran parte dalla ExxonMobil, può esportare 75 milioni di tonnellate/anno di gas liquefatto e ibernato, oltre a diversi milioni/giorno di barili di petrolio e gas naturale. Che possono essere bloccati dai paesi vicini. La cosa amena è che, oggi, tutti si ricordano dell’accordo segreto del Qatar per far cessare il suo appoggio alla Fratellanza Musulmana, siglato nel 2014, ma nessuno si ricorda delle infinite donazioni, più o meno private, che cittadini sauditi e di altri Paesi aderenti al blocco contro Doha hanno concesso ad Al Qaeda e al califfato di Al Baghdadi. E, comunque, se ci fosse una situazione di estremo e immediato pericolo, le navi petroliere di Doha potrebbero passare gli stretti di Hormuz passando dall’Oman, che non ha aderito al blocco, oppure entrare direttamente in acque iraniane. Il Qatar, ancora oggi, continua ad avere accesso agli Stretti di Suez, mentre le navi dell’emirato, al ritorno, non possono però utilizzare il porto di Fujariah. Se, poi, le cose dovessero ancora peggiorare, il Qatar dovrebbe sopportare il blocco dell’export di gas naturale verso gli Emirati tramite la pipeline “Dolphin”, creata da Total (24,5%) da Occidental, sempre al 24,5% e dal fondo sovrano di Abu Dhabi “Mubadala”. Ma nessuno, fino ad ora, ha l’interesse a creare problemi tra il Qatar e i suoi mercati di riferimento in Asia, importanti anche per i sauditi e i loro alleati. Peraltro, anche qui la questione è politica, come si direbbe, in un linguaggio trito, in Occidente. La tensione tra sauditi e qatarioti dura infatti dal 1995, ovvero dal momento in cui il padre dell’attuale emiro di Doha venne estromesso proprio dal figlio, l’attuale emiro, sulla base della sua politica troppo filosaudita. Peraltro, il fondo sovrano dell’emirato del Qatar ha investito sia in Iran, l’alleato preferito di Mosca in Medio Oriente, sia in Usa che nella russa Rosneft, e qui per ben 2,7 miliardi di Usd. L’emiro attuale ha infine bloccato un contro-golpe, nel 1996, ed ha attentamente evitato di costruire delle pipelines che integrassero Doha nel contesto economico ed energetico della Penisola Arabica. Anche la succitata “Dolphin” viene utilizzata solo per il trasporto verso l’Oman e gli UAE, ma lavora sempre alla metà dei due terzi di capacità.

8) Roma è in buoni rapporti sia con Teheran sia con Doha. Quale posizione dovrebbe adottare l’Italia?

Roma ha ospitato, all’inizio di luglio 2017, il ministro degli esteri di Doha, Tamim bin Hamad al Thani. Egli spera che l’Italia possa svolgere un ruolo di mediazione, ma ha dichiarato anche che il Qatar non ha paura nemmeno di un intervento armato saudita e che, questa sarà la chiave di volta geopolitica nei prossimi giorni, vi sarà una mediazione ai massimi livelli messa in atto dalla Federazione Russa. L’Italia potrebbe certo mediare, in un contesto in cui anche il nesso tra Doha e Washington si è ricucito, ma dubito che ne abbia la voglia e le “palle”.

Sono a rischio gli investimenti qatarioti nel nostro paese?

Qatar Holding ha dichiarato che continuerà ad investire in Italia. Non investirà in banche, come era stato sperato sia da Matteo Renzi che da Paolo Gentiloni, perché nessuno vede bene dentro il grande buco nero di Monte dei Paschi, ma molti altri dossier sono allo studio dei Fondi Sovrani dell’Emirato, e comunque, proprio in una situazione del genere è utile, per Doha, diversificare gli investimenti.