Citazioni

🇷🇺 Le telefonate di Putin

Questa settimana il telefono del Cremlino è incandescente. Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha contattato diversi capi di Stato e di governo con l’intento di sondare approcci e intenzioni sul confronto in atto tra Mosca e Nato, con particolare attenzione per la questione ucraina.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è stato il primo a dilungarsi in una intensa conversazione con l’omologo russo. Poi è stato il turno di Boris Johnson (premier del Regno Unito) e di Emmanuel Macron (presidente della Francia). Infine, il potente capo di Stato ha intrattenuto una “amichevole” conversazione con il leader della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping.

L’ordine delle videoconferenze non è casuale. Prima è stato contattato il referente principale sulle questioni di natura strategica nonché capo della principale potenza mondiale; rapportarsi in modo paritario con Washington eleva lo status internazionale di Mosca e ne migliora l’immagine diplomatica. In un secondo momento si è dialogato con i leader di importanti potenze gregarie nello spazio a stelle e strisce, non per puntare a una loro intercessione e nemmeno troppo per dividere il fronte euroatlantico, quanto per confermare le “linee rosse” unilateralmente imposte; notificare ai contendenti le nuove regole del gioco è essenziale per la tenuta del sistema internazionale. Infine è stato contattato il capo della principale nazione sfidante degli Stati Uniti; un modo per mostrare il non isolamento di Mosca e palesare i rischi che l’Occidente corre nel perseguire un approccio duro e sanzionatorio verso la Russia.

Non è un caso che le proposte/condizioni della Russia siano state consegnate all’assistente del Dipartimento di Stato americano Karen Donfried dal viceministro con delega ai negoziati sulla parità strategica Sergej Ryabkov proprio a Mosca, nel momento esatto in cui Putin era in videoconferenza con il «caro amico» Xi. La richiesta formale di promesse scritte (la non-adesione dell’Ucraina alla Nato) è un tentativo di distendere Biden sul letto di Procuste. Come il brigante greco stirava a forza i malcapitati sul giaciglio se troppo corti o li amputava se troppo lunghi, l’inquilino del Cremlino vuole mettere l’inquilino della Casa Bianca di fronte all’inesorabilità delle linee rosse. Se rifiuta le condizioni, la Russia interverrà militarmente in Ucraina a tutela della propria sicurezza; se accetta ma pecca nell’osservare gli impegni, il Cremlino disporrà altresì di un casus belli per l’intervento.

Le telefonate a cadenza mensile con il primo ministro italiano Mario Draghi non sono un riconoscimento dell’autorevolezza dell’ex presidente della Bce, ma la sottolineatura del possibile ruolo di mediatore e paciere tra le due sfere di influenza – Occidente e russkij mir (mondo russo) – che il Cremlino accredita al Belpaese. Ampiamente ignorato dall’omologo russo, ma anche dal collega americano, il presidente della contesa Ucraina Volodymyr Zelensky si vede costretto a rivolgersi proprio a Palazzo Chigi nella speranza di intavolare negoziati indiretti con le principali potenze sulle sorti del proprio paese.