🇷🇺 La risposta di Ryabkov
Intervistato da Ria Novosti sull’ipotesi di espansione della Nato verso est, il viceministro degli Esteri della Federazione Russa Sergej Ryabkov ha affermato che «la mancanza di progressi verso una soluzione politico-diplomatica a questo problema porterà alla nostra risposta militare e tecnico-militare».
Perché conta: La Russia non cerca lo scontro frontale con la Nato, ma il dialogo paritario con il suo leader indiscusso: gli Stati Uniti. Il funzionario moscovita con delega ai negoziati sulla parità strategica non ne fa mistero: «È inevitabile e abbastanza logico, dato il ruolo dominante di Washington nell’Alleanza Atlantica. Il canale bilaterale russo-americano sarà molto attivo». Mosca parla solo con chi conta per davvero e, snobbando le cancellerie gregarie, eleva ipso facto il proprio status internazionale.
Ryabkov paventa addirittura la riedizione dello “scenario caraibico”. Ovvero il ripetersi in chiave tecnologicamente moderna della crisi dei missili di Cuba del 1962, quando il mondo si ritrovò di punto in bianco sull’orlo di una grande guerra nucleare. Lo fa in modo studiato per tre motivi ben precisi.
Primo, ricordare a tutti che la Russia ha nella propria panoplia un formidabile dispositivo atomico. Non è bene sottovalutare la predisposizione morale al suo impiego.
Secondo, il Cremlino è disposto a incrinare la propria immagine mostrando intenzioni offensive pur di raggiungere il risultato difensivista prefissato (ritiro dalla Turchia dei missili Jupiter ieri, abbandono euroatlantico dell’Ucraina oggi). Gli assetti russi e la missilistica ipersonica potrebbero presto operare in modo speculare nel cortile di casa statunitense.
Terzo, la crisi del 1962 non si risolse con uno scontro effettivo tra superpotenze, ma con un più semplice riposizionamento confidenzialmente concordato delle infrastrutture militari. Ovvero la “risposta tecnico-militare” a cui il sagace diplomatico fa riferimento.Nonostante i toni apparentemente minacciosi e perentori, la diplomazia moscovita continua a operare con criterio min-max, cioè di minimizzazione del massimo rischio possibile. Non è detto che i pragmatici alti ufficiali delle forze armate russe condividano appieno questo approccio morbido e sofisticato. In fin dei conti, le recenti ammissioni di Joe Biden sul non invio di truppe americane o alleate in Ucraina – ma solo nei paesi B9 – in caso di conflitto bellico rivelano una proiezione di potenza a stelle e strisce puramente ologrammatica. E in geopolitica i vuoti di potere vengono sempre colmati.