La Moldova e la Nato della discordia
Limes pubblica nella rassegna geopolitica quotidiana IL MONDO OGGI un mio commento sull’avversione di Igor Dodon nei confronti dell’Alleanza atlantica. Link
Il neoeletto presidente della Repubblica Moldova, il socialista filorusso Igor Dodon, ha mostrato tutta la propria acredine nei confronti del progetto di apertura di un ufficio di collegamento della Nato nella capitale Chișinău.
L’apertura della struttura – politica più che militare, dovendo infatti ospitare una cinquina di specialisti con il compito di adeguare la pianificazione militare moldava agli standard dell’alleanza – aveva trovato l’avallo del presidente uscente Nicolae Timofti ad agosto, scatenando già allora l’ira delle opposizioni.
A maggio, quando le intenzioni erano ormai chiare, lo stesso Dodon organizzò roboanti proteste al passaggio di blindati statunitensi che entravano nel paese per effettuare le esercitazioni congiunte “Dragon Pioneer 2016” con i colleghi moldavi. In quell’occasione affermò: “Le esercitazioni guidate dalla Nato e l’esposizione di moderne tecnologie dell’alleanza nella piazza principale di Chișinău in occasione del Giorno della vittoria (9 maggio) sono un duro schiaffo alla Costituzione, la quale sancisce la neutralità della Repubblica”.
Non ancora insediatosi, ma forte degli esiti elettorali, Dodon cerca di rimarcare la propria intenzione a espandere i limitati poteri della presidenza (poco più che rappresentativi) e di esercitare la propria autorità in difesa della costituzionale neutralità del paese. Lo scopo è di frenare il graduale avvicinamento della Moldova alle strutture occidentali (Nato e Ue) e di rimarcare la propria amicizia con Mosca.
Tutto fa pensare che anche l’ipotesi di una riattivazione della commissione bilaterale sulla sicurezza romeno-moldava possa incontrare una forte opposizione da parte del presidente.
Il concetto di “neutralità totale” difficilmente potrà estendersi alla regione separatista della Transnistria, le cui autorità hanno già rigettato la proposta del ministro della Difesa Anatol Șalaru di un “corridoio verde” per il ritiro delle truppe e degli armamenti russi. Ogni candidato alla presidenza transnistriana (le elezioni si terranno l’11 dicembre) ha già rifiutato con fermezza la proposta, considerando i peacekeeper russi determinanti per la propria sicurezza.
In ogni caso, sarà il parlamento moldavo a dover decidere se votare in favore dell’apertura dell’ufficio Nato. Gran parte dei parlamentari vedono le proprie fortune (e carriere politiche) legate a doppio filo alla benevolenza dell’oligarca Vlad Plahotniuc, che di recente ha preso sottobraccio proprio Dodon in qualità di “consigliere ombra”.
L’influente “Mr. P.”, filoeuropeo per cruda opportunità politica, trae da sempre giovamento dal farraginoso ordinamento giuridico del piccolo paese associato all’Ue. Se il processo di riforme richiesto da Bruxelles e l’intensificazione alla lotta alla corruzione fossero diligentemente adempiute, si aprirebbe il vaso di Pandora: i discutibili affari dell’oligarca subirebbero uno stop ed eventuali grane giudiziarie farebbero crollare il castello di carta costruito negli anni coinvolgendo l’intera classe politica attuale.
Per Plahotniuc meglio dunque tenere una cauta distanza da Bruxelles perseverando in una politica estera temporeggiatrice, sostenendo il futuro presidente filorusso. Ovviamente senza ammetterlo pubblicamente.