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🇪🇺 Difesa europea

Al Consiglio informale per la Difesa di Kranj (Slovenia) l’Alto rappresentante dell’Unione Europea Josep Borrell ha sostenuto l’esigenza di creare una forza comune di primo intervento: «La necessità di una difesa dell’Ue più forte non è mai stata così evidente come dopo gli eventi in Afghanistan. Serve qualcosa di operativo». La prima bozza del piano potrebbe essere pronta per novembre.
Perché conta: L’iniziativa di un battaglione europeo di 5 mila unità (ampliabile a 20 mila) non trova l’unanimità degli Stati membri. Per questo i paesi volenterosi (a partire dalla risoluta Francia e dalla comunque titubante Germania) prendono in considerazione l’attuazione della cooperazione rafforzata (art. 20 del trattato Ue) per agire in autonomia. Basterebbe la partecipazione di solo nove paesi.
L’iniziativa rischia di creare un’ulteriore frattura interna allo spazio continentale. A quella est-ovest causata dalle differenze sui migranti o sulla Russia, si aggiungerebbe un nucleo di paesi attorno all’asse franco-tedesco in potenziale competizione con gli interessi della Nato. Preoccupato, il segretario generale Jens Stoltenberg si è affrettato a sostenere che un tale progetto «non potrebbe mai rimpiazzare l’Alleanza Atlantica».
La ricorrente idea di una forza di reazione rapida dell’Ue sconta diverse vulnerabilità, soprattutto concettuali.
Primo, gli Stati Uniti saboterebbero ogni iniziativa che preluda a una loro esclusione dalla garanzia della difesa dell’Europa. Potrebbero accettare soltanto reparti impiegabili unicamente in teatri secondari come quelli africani. Ciò limiterebbe la portata operativa del progetto in discussione.

Secondo, non esiste alcuna motivazione logica per la quale una struttura militare meno dotata e meno rodata della Nato e con iter decisionale collegiale (o a rotazione) possa evitare di incappare negli stessi cortocircuiti dell’Alleanza Atlantica in Afghanistan. Più probabile la loro proliferazione.
Terzo, l’iniziativa assumerebbe facilmente una forma che metterebbe in un angolo il consenso politico dei parlamenti nazionali. I paesi membri dovrebbero partecipare alle operazioni militari anche nel caso in cui le missioni fossero considerate ingiuste o avverse ai propri dettami costituzionali. Le unità di un paese membro eseguirebbero gli ordini secondo la catena di comando comunitaria anche in caso di parere avverso del proprio paese. Questo meccanismo è ottimale per le potenze più assertive e impegnate in missioni extra-continentali: perseguirebbero gli interessi nazionali con una ripartizione strutturata e insindacabile degli oneri.
Quarto, il problema più grave si verificherebbe qualora l’attivismo del battaglione europeo intralciasse le indipendenti operazioni militari di uno o più paesi membri dell’Unione, siano essi membri o meno della cooperazione rafforzata (o della Nato).
Nelle faccende militari, ogni processo sofisticato è deleterio. Aggiungere complessità a scenari già complessi è irragionevole. Questo risulta poco chiaro alle élite economiciste e post-storiche del Vecchio Continente, digiune di pensiero strategico.