Bessarabia 2014-2015
Riporto di seguito una vecchia analisi riattualizzata ad inizio dicembre 2014. Pubblica su Geopolitica.info. Link
Transnistria: un nuovo focolaio di tensioni?
La Transnistria potrebbe divenire nei prossimi mesi un “punto critico”. Già parecchi indizi infatti spingono verso la comprensione di ciò che potrebbe rappresentare l’area nel prossimo futuro: la ratifica dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e la Repubblica Moldova avvenuta il 14 Novembre 2014; le affermazioni del Generale Breedlove relative alla potenziale annessione da parte della Russia e le dichiarazioni di George Soros mezzo stampa riguardanti le intenzioni russe di creare un grande corridoio che colleghi Rostov sul Don a Tiraspol; l’espulsione di Vasily Kashirin, leader dell’organizzazione Unione Euroasiatica, da parte delle autorità moldave; la limitazione di libertà e transito di esponenti dell’autoproclamata Repubblica Moldava Nistriana attivate dall’Ucraina e l’arresto da parte delle autorità ucraine di sospetti appartenenti a gruppi terroristi attivi nella regione.

Naturalmente l’analisi della Transnistria, che rimane un paese per certi aspetti impenetrabile, deve essere sempre fatta con una visione complessiva dell’area.
Cruciali elezioni
Il 30 Novembre 2014 si sono tenute nella Repubblica Moldova importanti elezioni parlamentari, la cui campagna elettorale è stata caratterizzata da forti connotati geopolitici, che hanno visto il paese spaccato tra europeisti e filorussi e consegnare una vittoria di misura alle forze pro-UE, le quali si sono aggiudicate 55 seggi sui 101 in palio.
Stando a quanto dichiarato dalla commissione elettorale di controllo, il Partito Socialista (PSRM) guidato da Igor Dodon ha ottenuto 25 seggi (20,52% dei voti), affermandosi come primo partito, mentre i liberal-democratici (PLDM) dell’“uomo forte” Vlad Filat sono arrivati secondi ottenendo 23 seggi (20,14%), ma perdendo circa 200 mila voti in quattro anni, pari al 9% dei consensi; seguono i comunisti (PCRM) dell’influente ex Presidente della Repubblica Vladimir Voronin con 21 seggi (17,49%), i democratici (PDM) con 19 (15,79%) e infine i liberali (PL) con 13 mandati (9,67%). I partiti europeisti (PLDM, PDM e PL) hanno ottenuto quindi la maggioranza dei mandati nel nuovo parlamento, pur non avendo raggiunto nessuno di questi la maggioranza relativa. Ai partiti filorussi (PSRM e PCRM) quindi sono andati i restanti 46 seggi.
L’OSCE ha affermato che le elezioni sono state generalmente ben amministrate e che possono quindi ritenersi regolari, tuttavia è importante ricordare come esse siano state inficiate dalla determinante esclusione del partito Patria di Renato Usatîi, fuggito a Mosca e scappato all’arresto per finanziamento illecito del partito, che avrebbe potuto con ogni probabilità consegnare la vittoria ai filorussi e dal fatto, non secondario, che in Transnistria non si sia votato e che, anzi, il voto degli aventi diritto residenti nella regione sia stato fortemente scoraggiato dalle autorità separatiste locali, con limitazione alla circolazione il giorno del voto ed una campagna porta a porta volta a promuovere il non-voto.
Tuttavia le elezioni sono regolari e dall’accordo di PLDM, PDM e PL è nata una coalizione che certamente porterà avanti le riforme necessarie per un ulteriore avvicinamento all’Unione Europea, incrementando gioco forza la frattura con la controparte transnistriana.
Fattore Russia
In questo contesto, la piccola e dimenticata Transnistria, certamente filorussa e sempre alla ricerca di riconoscimento a livello internazionale, deve trovare una propria nuova dimensione.
Nonostante non possa essere paragonata alla Crimea, né in termini di importanza economica o culturale, né in termini di rilevanza demografica, è accomunata con questa dall’assenza di contiguità territoriale con il vero paese di riferimento, la Russia, il cui coinvolgimento nella regione va ricercato principalmente negli aspetti militari e doganali necessari al consolidamento del nuovo ruolo che Mosca vuole assurgere nell’area del Mar Nero.
L’aspetto militare è connesso alla realizzazione in Bessarabia di uno scudo anti-aereo come risposta al più altisonante “scudo stellare” occidentale. Soluzione questa molto praticabile, con un certo grado di efficacia, ottimo strumento di pressione e infine più congeniale alle finanze del Cremlino. Le 46 installazioni missilistiche già presenti nella striscia costituisce un’ottima base iniziale. Le truppe russe di peacekeeping, che da più di vent’anni sono stanziate nella regione potrebbero occuparsi della sicurezza connessa all’attuazione di tale progetto, ben integrabile peraltro dal dispiegamento di sottomarini dotati di funzionali missili Bulava nel Mar Nero.
Tuttavia l’aspetto militare è in questo caso secondario rispetto a quello doganale, fattore importantissimo per ciò che attiene il consolidamento interno, inteso come unione doganale euroasiatica, il controllo dei flussi commerciali e la circolazione delle persone “gradite”. Una nuova frontiera da guerra fredda si stabilirebbe sul fiume Nistru, non sul fiume Prut (attuali confini tra Moldova e Romania), poiché il Cremlino è sempre molto attento al rispetto del principio di legittimità per ciò che riguarda le relazioni internazionali. Inoltre, estendendo le proprie mire espansionistiche su un piccolo paese associato dell’Unione europea disperderebbe energie senza che possano esservi benefici concreti: nessun confine facilmente controllabile e nessun accesso a risorse naturali significative o ad industrie di rilievo. In aggiunta la popolazione moldava potrebbe risultare riluttante ad accettare nuove forme di controllo russo. Persino il confine logistico artificioso di epoca sovietica, quello dello scartamento ferroviario differente dagli standard occidentali, è superato sia dalla tecnologia che dalla banale capacità divisoria che un confine naturale come il fiume Nistru può meglio garantire: pochi punti d’accesso meglio controllabili.
Certamente il Cremlino non sarebbe disposto ad investire con i propri deprezzabili rubli per lo sviluppo di una regione tanto periferica e tanto desiderosa di sviluppo senza avere in cambio la garanzia di fedeltà da parte dei cittadini: meglio limitare il proprio coinvolgimento, diretto o indiretto, ai territori della riva sinistra del Nistru, ben russificati, che si sono già espressi qualche anno fa con referendum positivo per l’adesione alla Federazione russa e che già hanno adottato parecchie norme di quella legislazione nel proprio ordinamento.
Truppe russe già sono presenti e pure in veste di pacificatori, non si parlerebbe nemmeno di occupazione.
Pericoloso isolamento
A causa del crescente isolamento della regione, derivanti da cause sia interne (regime politico) che esterne (crisi ucraina e accordo di associazione tra UE e Moldova), gli stessi peacekeeper russi si trovano nei fatti ad essere logisticamente e tatticamente isolati.
Non essendovi sbocchi sul mare e considerando l’eventuale ponte aereo tra Crimea e Transnistria solo come costosa soluzione temporanea, il principale ostacolo per ristabilire i collegamenti è costituito inevitabilmente da Odessa e dai transiti che questa importante città portuale può garantire.
L’Ucraina, sospettosa nei confronti delle intenzioni russe e timorosa di perdere il controllo di un prezioso accesso al Mar Nero, sarà costretta inevitabilmente ad implementare le proprie politiche di sicurezza anche nel sud-ovest del paese. È vero infatti che attivisti filo-russi abbiano base proprio in Transnistria (fonti SIS e SBU) ed è questa la ragione principale per la quale il Governo ucraino ha limitato la libertà di circolazione sul proprio territorio a personalità di spicco dell’autoproclamata repubblica e intensificato i controlli alle frontiere attuando contestualmente una propaganda mediatica volta a mostrare le condizioni di vita della popolazione che abita in Transnistria.
La Transnistria rischia ovviamente di venire isolata anche dal punto di vista energetico, compromettendo pertanto la produzione delle acciaierie di Rȋbniţa: da qui la scelta del governo di Tiraspol di limitare la circolazione attorno alla centrale idroelettrica di Dubăsari, cosa questa che ha creato ulteriori contrasti con il governo moldavo. Questo inverno potrebbero essere facilmente tagliate le linee di approvvigionamento del gas provenienti dall’Ucraina, la quale utilizzerebbe questa mossa come ricatto nei confronti della Russia in caso di cali nelle forniture destinate a Kiev.
Se questo dovesse accadere, la popolazione demograficamente tripartita in moldavi (200.000 circa), ucrainofoni (100.000) e russofoni (200.000) non la prenderebbe certo bene: sommosse da parte di alcuni segmenti della popolazione, eventualmente sospinte da infiltrazioni di Pravy Sektor, per quanto improbabili non sarebbero poi così impossibili. Le milizie transnistriane sono state tuttavia ampiamente istruite ad affrontare ogni evenienza con più di 800 esercitazioni militari nel corso del 2014.
L’isolamento oramai è anche istituzionale: i rappresentanti di Tiraspol persistono nel bloccare le attività della Commissione Unificata di Controllo e dell’OSCE per quanto riguarda la cosiddetta crisi transnistriana. Gli esponenti della regione separatista cercano inoltre, tramite quotidiane provocazioni nei confronti delle autorità, dei funzionari e dei cittadini della Repubblica Moldova, di rimarcare la loro indipendenza anche a costo di un aggiuntivo auto-isolamento.
La Russia, in questo contesto, non potrà che attuare ogni mossa pur di ristabilire sicuri collegamenti con le proprie truppe stanziate nella regione.
Nuovo scenario potenziale e resiliente
Se è vero che la Moldova è una cosa sola, ogni forma di influenza sui territori transnistriani (pressioni politiche esterne, limitazione alle libertà personali, sanzioni economiche od operazioni militari), sarebbe da considerarsi a scapito dell’intera Repubblica, paese associato dell’Unione europea. In questo caso l’Europa dovrebbe farsi carico personalmente delle conseguenze derivanti dal mancato riconoscimento di quello che in realtà è uno stato a tutti gli effetti da ormai una generazione compiuta.
La soluzione migliore per l’Europa sarebbe quella di lasciare la Transnistria al proprio destino (qualunque esso sia, evitando punti di frizione con la Russia) ed occuparsi di una rapida integrazione ed europeizzazione dei territori ad ovest del fiume Nistru, provvedendo affinché vi sia prosperità e sviluppo, congiuntura economica permettendo. Il fiume Nistru dovrebbe essere percepito al più presto come nuova amity line d’Europa.
Un’accresciuta politica di sicurezza nel Mar Nero, derivante da un maggiore coinvolgimento russo, comporterebbe un ammodernamento portuale e navale e l’accelerazione sulla tanto desiderata realizzazione del progetto South Stream (o versioni simili), tacitamente gradito a molti paesi europei.
Le varie crisi mondiali, per come sono geolocalizzate, fanno pensare alla costa nord del Mar Nero (pacificata) come prima tappa su una moderna via della seta e la Moldova/Transnistria come primo accesso doganale per ciò che attiene il trasporto su gomma.
@mirkomussetti