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Balcani in fermento

Il 17 gennaio, il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan si è recato in Albania (prima visita ufficiale del 2022) per incontrare il primo ministro Edi Rama e sottoscrivere sette gli accordi di cooperazione strategica, giuridica e culturale. Fra questi spicca un memorandum d’intesa sulla cooperazione fra le Forze dell’ordine delle due “nazioni ottomane”. Il capo di Stato anatolico persegue due obiettivi a Tirana: uno di natura internazionale, uno di natura interna. Primo, rivendicare per la Turchia il ruolo di “nazione garante” per la stabilità nei Balcani occidentali, con un occhio di riguardo per le comunità musulmane. Secondo, indebolire l’organizzazione «terroristica» Fetö del rivale Fethullah Gülen, che «ancora trova spazio in Albania addolorando il popolo turco. Aspettiamo decisioni veloci e drastiche in merito».

Il 18 gennaio, lo stesso Erdoğan ha ricevuto ad Ankara il presidente della Serbia Aleksandar Vučić per discutere non tanto di cooperazione economica, bensì della situazione nei Balcani occidentali. Gli incidenti interetnici a danno dei bosgnacchi (bosniaci musulmani) si stanno intensificando; per chi aspira a guidare il mondo sunnita, nessun episodio di violenza anti-islamica può essere sottovalutato. L’insistita volontà della Repubblica Srpska – a maggioranza serba e ortodossa – di dichiarare la propria indipendenza dalla multireligiosa Bosnia-Erzegovina impensierisce i notabili anatolici.

I moti secessionisti e panslavisti impensieriscono anche il Kosovo, che ha respinto l’appello di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Unione Europea di organizzare il referendum della Serbia del 23 gennaio sulla giustizia anche nelle municipalità serbe sotto il controllo di Pristina. Se per le cancellerie occidentali l’esclusione costituisce una chiara violazione dei principi democratici e della stessa costituzione kosovara, per le autorità della piccola nazione  un tale atto rappresenterebbe una violazione dell’integrità territoriale da parte di Belgrado.

Su tutto questo si staglia il Cremlino. La penetrazione dell’intelligence della Federazione Russa nei paesi dell’ex Jugoslavia si intensifica, come il caso del (presunto) monitoraggio di oppositori russi in Serbia lascia intendere.

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